Nell’ultimo periodo siamo stati contattati da numerosi colleghi preoccupati per l’ipotesi di obbligatorietà degli ECM anche per gli psicologi liberi professionisti – compresi quelli che il lavoro non lo hanno – e per l’apparente incongruenza della definitiva e totale Alta vigilanza del Ministero della Salute, che interesserebbe anche i colleghi non clinici: del lavoro, dello sport, ecc.
Di seguito la sintesi di come in PLP valutiamo la questione.
Sono passati ormai otto anni da quando l’art. 24 sexies del D.L. 248/07 ha emendato l’art. 29 della L. 56/89, e per effetto di ciò l’Alta Vigilanza sull’Ordine degli Psicologi è transitata dal Ministro della Giustizia a quello della Salute. Ma a causa di un difetto di coordinamento normativo, in quanto l’intervento emendativo agendo esclusivamente sull’art. 29 della L.56/89 ha lasciato invariate tutte le altre norme della stessa legge contenenti espressi riferimenti al Ministero della Giustizia, si sono determinate non poche difficoltà nella gestione del nostro Ordine che deve interagire con due Ministeri, a seconda che i contenuti di confronto siano di natura amministrativa o di validità dei titoli professionali, con il consequenziale impegno di onerose risorse.
Ci sembra dunque auspicabile che gli psicologi italiani possano beneficiare dell’Alta vigilanza di un unico Ministero. Perché quello della Salute?
Tale scelta è stata abbondantemente argomentata, dai colleghi addetti ai lavori, nel periodo che ha preceduto la modifica dell’art. 29 della L.56/89. A distanza di otto anni dal transito parziale, analizzate le pertinenze di settore di ciascun Ministero della nostra Repubblica, continuiamo a valutare il dicastero della Salute (dal 2001 non più della Sanità) come maggiormente idoneo a “vigilare” sull’operato degli Psicologi – clinici e non – nel rispetto della specifica mission ( “lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità” – art.3 Codice Deontologico degli Psicologi). Gli psicologi promuovono salute non esclusivamente in ambito clinico, ma dovunque siano chiamati a professare.
Detto ciò, perché obbligare anche i colleghi che sono liberi professionisti e che spesso hanno redditi molto bassi a spendere i pochi soldi che guadagnano in ECM (Educazione Continua in Medicina), a maggior ragione se si occupano di gestione delle risorse umane, progettazione, formazione, ecc.?
Stabilito che, come recita l’art. 5 del nostro Codice Deontologico, “lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione e aggiornamento professionale, con particolare riguardo ai settori nei quali opera”, condizione imprescindibile per la qualità della nostra professione che potremmo garantire con esperienze formative diverse dagli ECM e gratuite (difficilmente individuabili anche ora se cerchiamo alta qualità), siamo costretti a prendere atto che la “macchina” ministeriale altamente burocratizzata ha necessità, per economia, di canalizzare le energie dedicate alla vigilanza/controllo della qualità professionale di tutti i professionisti della salute, compresi gli psicologi, in un unico sistema di controllo, la cui gestione, per il complesso livello di organizzazione, comporta importanti impegni monetari, ossia il sistema ECM.
Questo sistema ci convince? Pensiamo garantisca ai colleghi psicologi un’immediata fruizione? Crediamo che automaticamente possa definire la qualità della formazione continua in psicologia?
Naturalmente no! Sappiamo che quando sarà perfezionato il definitivo transito al Ministero della Salute dovremo intensificare i tavoli di lavoro dedicati alla formazione continua, conducendo tutti insieme battaglie che possano determinare assetti facilitanti per la nostra professione, bistrattata per troppo tempo.
Cercheremo di comprendere perché lo Stato ha necessità di ribadire ciò che già il codice deontologico promulga attraverso l’ordine professionale preposto (obbligo di formazione continua), prevedendo sanzioni in caso di inadempienza, rischiando così la delegittimazione di una realtà costituita e voluta dallo Stato stesso; valuteremo vantaggi e svantaggi dell’autocertificazione formativa, nell’ottica del libero mercato europeo e della snellezza burocratica; peroreremo la possibilità di aggiornare i nostri saperi anche all’estero, con conseguente validazione della nostra formazione, anche se non vidimata dallo Stato italiano.
Certamente condurremo queste ed altre battaglie, determinando condizioni che possano tutelare al contempo gli psicologi, i cittadini e le economie nazionali. Ma fino a quando le suddette lotte produrranno gli esiti auspicati, consapevoli dei tempi biblici di cambiamento nel nostro Paese, come ci comporteremo? Subiremo l’attuale realtà o ci attrezzeremo per il fronteggiamento delle odierne condizioni? Non siamo forse noi psicologi gli esperti del problem solving?
Possiamo, proprio come facciamo con i nostri clienti, facilitare l’individuazione di soluzioni che, in attesa dei tempi lunghi di adeguamento della macchina ministeriale che comunque abbiamo il dovere di caldeggiare, ci consentano di non rendere economicamente ancora più svantaggiosa la pratica professionale?
Abbiamo già qualche proposta. Se il CNOP diventasse provider, con le economie disponibili, per suo tramite gli Ordini regionali potrebbero garantire formazione gratuita e/o con spese contenute a tutti gli iscritti, per ogni settore di pertinenza (sanità, sport, formazione, lavoro, ecc.). Le Associazioni di Categoria, come PLP, e altre agenzie formative, potrebbero impegnare risorse per le spese di formazione, come già fanno, utilizzando gratuitamente il Provider CNOP. Queste e altre soluzioni sono possibili per rendere la “formazione continua” un’opportunità e non un costo. Auspichiamo che, in coerenza con ciò che promuoviamo nei nostri ambienti lavorativi, sapremo affrontare i prossimi cambiamenti con proattività e incremento di empowerment, uniti e sempre più forti in una categoria professionale che deve ricercare sempre maggiore coesione al suo interno, anche per acquisire maggiore credibilità e potere politico all’esterno.
Ed infine… “ECM” non ci piace proprio, quindi tra le future battaglie, con contestuale sana gestione dell’attuale realtà, ci auguriamo quella per la ridenominazione del nostro aggiornamento professionale. Si è verificato il cambio di denominazione del Ministero, da “Sanità” a “Salute”, per cui ora è necessario oltre la forma ritoccare il contenuto, per cui vogliamo un Ministero che si occupi della salute tutta, fuori e dentro i contesti sanitari, che non potrà che pretendere un’Educazione Continua nell’ambito della Salute (ECS) anche per i medici, per non dimenticare che “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia e di infermità” (OMS, 1946).
A cura di Dominella Quagliata