di Dominella Quagliata*
Il 25 novembre di ogni anno, dal 1999, è celebrata la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ricorrenza istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Vent’anni d’interessanti e utili convegni, manifestazioni, corsi di formazione, azioni concrete di prevenzione e cura, ma il fenomeno della violenza di genere, sicuramente più attenzionato rispetto al passato, continua ad affliggere la nostra società indiscriminatamente rispetto ai territori, allo status socioculturale ed economico.
Tra le numerose cause del fenomeno in oggetto voglio oggi soffermarmi, celebrando così il ventennale dell’istituzione della GIEVCD, sull’esigenza di delineare, a tutti i costi, IL modello femminile.
Si consumano alacri battaglie tra fazioni di donne e uomini impegnate/i a disciplinare le caratteristiche che possano definire l’essere Donna. Ci si infervora nel contendersi il possesso della certezza che sia giusto o sbagliato, per essere una vera Donna: declinare i titoli professionali/istituzionali al femminile; ambire a ruoli di potere professionale/istituzionale; impegnarsi nella scalata professionale; agire competitività; curare la propria estetica in misura precisa, per non rischiare di apparire trascurata o provocante; tingere i capelli bianchi; dedicarsi esclusivamente alla cura della famiglia e della casa; occuparsi delle faccende domestiche, senza delegarle a collaboratori/collaboratrici; fare la scelta di castità in assenza di un rapporto stabile; desiderare la maternità; allattare al seno con durata standard (?); definire il numero di figli da mettere al mondo; ecc.
La lista di definizioni dell’essere Donna, su cui si discute costantemente, è in realtà molto più cospicua di quella esposta. Ma ci (alle donne e agli uomini) serve davvero concordare IL modello femminile? O piuttosto dovremmo sdoganare la convinzione che possono coesistere più modi di essere donna, pari esattamente al numero di donne esistenti?
A mio avviso la prima violenza di genere perpetrata ai danni delle persone di genere femminile è la costrizione a interpretare un ruolo predefinito che mai può perfettamente coincidere con la propria tendenza attualizzante1. Avviene così che molte bambine, per non sentirsi sbagliate, devono rinnegare molto di ciò che sentono di volere e voler essere. Devono giocare con le bambole e non i combattenti eroi, ma poi da grandi saranno accusate di non sapersi difendere; devono scegliere giochi esposti negli scaffali per femmine, dove non troveranno le automobili, che però un giorno costruiranno per professione; possono scegliere quale sport praticare, a condizione che non si tratti del calcio, lo sport più noto in Italia; non sono incoraggiate a praticare giochi di avventura, che favoriscono il coraggio e l’esplorazione; sono incoraggiate, per essere più femmine, alla remissività, caratteristica pericolosa nelle relazioni.
Poi le bimbe crescono e si ritrovano adolescenti per cui al biasimo del compimento di azioni non sane (bere alcolici; fumare; utilizzare un linguaggio volgare; ecc.) deve essere aggiunta l’aggravante dell’essere femmine; per cui non è possibile, come per i coetanei di sesso maschile, cambiare fidanzatino senza correre il rischio di essere definite poco di buono; per cui è impensabile rientrare sole a sera tarda senza rischiare, in caso di aggressioni/molestie, di essere accusate di essersela cercata.
Ed infine, in ordine cronologico, le donne o femmine adulte, molte delle quali vivono il conflitto interiore dell’essere se stesse, rispettando il processo autopoietico2, o ciò che la definizione sociale prevalente dell’essere donna impone. Femmina si nasce, femmina adulta si diventa per natura, donna si diventa per scelta, quando si ha la possibilità di stabilire consapevolmente LA donna che si sente di voler essere.
Per eliminare la violenza di genere permettiamo, una volta per tutte, che ogni persona possa autodefinirsi, operando la propria tendenza attualizzante. Incoraggiamo ogni persona ad essere pienamente se stessa; potendo così conquistare la consapevolezza di sé e il controllo sulle proprie scelte, decisioni e azioni, sia nell’ambito delle relazioni personali sia in quello della vita politica e sociale (empowerment). In questo modo ogni “Donna per scelta” potrà interagire su un piano perfettamente simmetrico con ogni “Uomo per scelta” (anche le persone di genere maschile non diventano Uomini per genetica). Solo così ogni bambina, adolescente, donna potrà acquisire la determinazione necessaria a esigere il rispetto di se stessa e ogni bambino, adolescente, uomo potrà, grazie a questa determinazione, comprendere che le differenze di genere costituiscono una ricchezza, in presenza di reale cooperazione, che non può e non deve essere confusa con la stoltezza di una visione competitiva che deve necessariamente stabilire chi vale di più. Correndo il rischio di offrire affermazioni apparentemente retoriche, è necessario ribadire con forza che la complementarietà di genere, su un piano di simmetria, è fondamentale per lo sviluppo socioeconomico. Altrettanto lo è la coesistenza dei diversi modi di essere donne e uomini.
Bandendo la ricerca di omologazione perderemmo qualche finta certezza, ma guadagneremmo una società caratterizzata dall’empowerment individuale e di comunità, che l’WHO – World Health Organization, a più riprese, ci ricorda essere pre-requisito per la salute (biologica; psicologica; sociale; economica).
Incoraggiando la piena realizzazione di ogni persona potremmo vivere una soddisfacente dimensione di equità e benessere, determinando l’abolizione della celebrazione del 25 novembre, perché non più necessaria. Vogliamo provarci?
*Presidente nazionale PLP e Consulente Pari Opportunità – Ufficio Staff di Presidenza CNOP
1 Rogers, C. (1978) The formative tendency. J. Hum. Psychol., 18, pp. 23-26
2 Maturana, H. y Varela, F. 1994. De máquinas y seres vivos. Santiago: Universitaria