Di Fiorella Chiappi, Presidente CPO PLP
L’Intelligenza Artificiale (AI) non è più una novità, ma una realtà consolidata. Come ogni innovazione tecnologica potente, porta con sé opportunità e rischi. Tra questi, vi è la difficoltà nel coniugare l’innovazione con le normative che garantiscano i diritti, la penalizzazione dei paesi che non investono adeguatamente nell’AI e la presenza di una dimensione etica, che spesso risulta non adeguata. Tra i rischi etici più gravi ci sono i bias negli algoritmi, che possono generare distorsioni e discriminazioni e tra questi i gender bias, ossia pregiudizi, convinzioni errate o sottovalutazioni
che, come spiega Rita Cucchiara, influenzano la programmazione degli algoritmi, con il risultato di favorire un genere rispetto all’altro. Per ridurre questi bias, non basta una solida competenza tecnica o la padronanza di specifici contenuti; è necessaria anche una comprensione profonda dei meccanismi psicologici che li generano.
Un passo fondamentale nel processo di riduzione dei bias consiste anche nel promuovere una maggiore inclusione femminile nel settore dell’intelligenza artificiale. L’esperta Joanne Bryson sottolinea come la professione di programmatore sia ancora dominata prevalentemente dagli uomini e ribadisce l’importanza di favorire l’accesso delle giovani donne a carriere nel campo della programmazione. Ciò implica anche affrontare, nell’orientamento scolastico e professionale, i condizionamenti sociali e le implicazioni psicologiche che, pur in presenza di attitudini naturali,
frenano ancora molte ragazze nell’intraprendere carriere in questi ambiti.